Partito da Milano per combattere con l’Isis in Siria: perché è stata annullata condanna per terrorismo

E’ diventato un grattacapo a livello giuridico e sociologico il caso di Monsef El Mkhayar, 29enne marocchino partito da Milano alla volta della Siria come combattente dell’Isis. La Corte d’Appello annulla la condanna per terrorismo perché il giovane “era all’oscuro del processo”

Partito da Milano dieci anni fa ancora ragazzino insieme ad altri coetanei alla volta della Siria con l’unico obiettivo di arruolarsi come combattente per l’Isis. Adesso il rebus, inizialmente solo sociologico di Monsef El Mkhayar è diventato anche un rebus giuridico dopo che al 29enne originario del Marocco è stato impossibile notificargli la condanna a 8 anni di carcere per terrorismo.

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Partito da Milano per combattere per l’Isis in Siria. Annullata la condanna in Italia per terrorismo (milano.cityrumors.it)

Nelle motivazioni dell’annullamento della pena decisa dai giudici della Corte d’Appello di Milano, è sottolineata l’impossibilità di sapere con certezza se l’imputato 29enne “foreign fighters” avesse mai avuto conoscenza del proprio processo svoltosi in Italia e più precisamente a Milano, luogo da dove il terrorista ha lasciato l’ultima sua traccia nel 2019.

Annullata condanna al terrorista, le motivazioni

La prima Corte d’Assise d’Appello di Milano spiega nelle motivazioni della sentenza di secondo grado perché lo scorso 10 gennaio 2024 ha dovuto annullare la condanna a 8 anni di carcere per associazione terroristica al 29enne marocchino Monsef El Mkhayar.

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Partito da Milano per combattere per l’Isis in Siria. Annullata la condanna in Italia per terrorismo (milano.cityrumors.it)

Motivazioni che si rifanno, ancor di più dopo le modifiche introdotte dalla riforma Cartabia nel 2022, a quanto segue: “un processo può essere celebrato in assenza dell’imputato solo quando siano disponibili elementi concretamente idonei a dar certezza che l’imputato sia a conoscenza del processo o quando la mancata comparizione in udienza sia dovuta a una sua volontaria e consapevole scelta di sottrarvisi”.

L’arrivo in Italia di Monsef

Come riporta anche il Corriere Milano, secondo i dati del Viminale risalenti al 2018, erano 138 i combattenti unitisi allo Stato Islamico che avevano avuto un nesso, seppur minimo, con l’Italia. Di questi 48 risultavano morti, 26 erano rientrati in Europa, mentre dei restanti non si sapeva altro. Tra questi, risulta il nome di Monsef El Mkhayar, all’epoca 14enne, arrivato irregolarmente in Italia dal Marocco con un connazionale il 30 luglio 2009.

Nel giugno del 2010 il ragazzino era entrato nella comunità dell’Associazione Kayrós di Vimodrone fondata dal cappellano del carcere minorile Beccaria, don Claudio Burgio. Il carattere troppo violento e burrascoso del ragazzo, assume tutta un’altra direzione quando appena maggiorenne (2013) viene arrestato per spaccio di droga e resta un mese e mezzo a San Vittore.

Uscito dal carcere, quel giovane con l’indole litigiosa non esiste più. Monsef è un’altra persona, forgiata nel credo radicalizzato di matrice islamica al punto tale che il 17 gennaio 2015, parte per la Siria insieme al coetaneo Tarik Aboulala. Qui vengono entrambi addestrati dall’Isis e mandati a combattere. Un anno dopo, aprile del 2016, l’amico Aboulala muore in battaglia.

L’appello per ritornare in Italia

Il 13 aprile del 2017 Monsef assente a Milano, viene comunque condannato in primo grado a 8 anni dalla Corte d’Assise di Milano. Due anni dopo, il 9 marzo del 2019, il fantasma di Monsef riappare apparentemente in una intervista rilasciata all’agenzia di stampa “Reuters” durante la quale il 29enne marocchino, prigioniero da 2 mesi dalle milizie curde delle “Syrian Democratic Forces”, lancia una sorta di appello per ritornare in Italia e rifarsi “una nuova vita”.

Nell’intervista, il 29enne esprime la sua delusione verso il trattamento ricevuto sotto il Califfato seppur ancora quella vita lo attrae: “questa è la mia credenza e non la cambierò, ma qui nello Stato Islamico in realtà non c’è giustizia, i leader dello Stato Islamico governano il territorio come “una mafia””.

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Il dilemma normativo

La questione sollevata in Corte d’Appello a Milano è se l’imputato si può processare ancora in sua assenza. In questo caso, una misura cautelare mai eseguita e mai revocata esiste, così come la volontà espressa dallo stesso imputato di ritornare in Italia, volontà resa però impossibilitata da cause indipendenti, ovvero la sua restrizione in un campo di prigione in Siria non ben definito. Impedimento, tra le altre cose, che non può essere accertato.

In Italia rimane il fatto che la normativa pretende che almeno la prima notifica venga notificata di persona al soggetto imputato. E in questo caso non c’è stata. Oppure, vuole almeno la prova del volontario sottrarsi dell’imputato alla conoscenza del procedimento, che qui è fallace, anzi, osservano la presidente Ivana Caputo e la relatrice Franca Anelli, come riporta in conclusione anche il Corriere: “Il tempo trascorso e gli approfondimenti (tentati) hanno dato certezza della totale inconsapevolezza dell’imputato”.

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