L’arte contro la violenza sulle donne alla Biblioteca Sormani

La Biblioteca Sormani di via Sforza ospita, fino al 18 dicembre, due sculture degli artisti Lorenzo Aiazzi e Sergio Monari per un’iniziativa contro la violenza sulle donne.

Il titolo scelto, “Oh donna, chi sei” nasce dal primo verso di un componimento del poeta arabo di inizio Novecento Nizar Qabbani e suggerisce che, spesso, alla base della violenza, ci siano proprio la mancata conoscenza o il mancato riconoscimento delle donne e delle loro qualità.
In senso nettamente contrario si muoveva il mondo classico al quale i due artisti si sono oìispirati per dare vita alle due sculture presenti che ritraggono Euriclea, la nutrice di Ulisse, e Medea, a loro volta simbolo di tratti di personalità molto diversi tra loro.

Da un lato la donna intesa come madre, come colei che si prende cura e si fa portatrice dell’educazione e della trasmissione del passato.
Dall’altro Medea, la donna coraggiosa che sfida il destino per approdare in una terra nuova e sconosciuta, correndo dei rischi, un evidente richiamo sia a chi lotta per conservare i diritti conquistati con fatica come le donne afghane sia chi affronta il mare in cerca di una vita migliore con il rischio, a volte, di perderla. Ma anche la donna artefice del proprio destino come le tante figure femminili che animano la scienza e l’imprenditoria.

Una mostra che parla delle donne ma decide di farlo attraverso lo sguardo di due artisti, uomini, a dimostrare che dalla parte opposta non ci sono solo mostri. La scelta della mostra, qui alla Sormani quindi, è stata di non parlare della violenza in sé, definita dal curatore Niccolò Lucarelli “una vergogna sociale”, ma di servirsi dell’arte per veicolare un messaggio.

La scultura di Euriclea, opera di Aiazzi è in bronzo e richiama, nelle forme arrotondate e avvolgenti, elementi dell’arte africana, vicina alle origini dell’uomo. Rappresenta l’amore come forma di conoscenza dell’altro.
Prima di arrivare al prodotto finito, l’artista ha spiegato che tutto è nato da un’ombra catturata con uno schizzo su un taccuino. Da qui è stata realizzata una scultura più piccola e poi il quadro che si vede esposto sempre in mostra.

Con un racconto dettagliato, che lascia trasparire la gioia del creare e la cura di chi crea, ho così saputo quanti passaggi e tipi di lavorazione sono serviti per arrivare a questo risultato che non è di colore nero come lo è di solito il bronzo per effetto di una speciale patina che la ricopre.

Il prodotto finito richiede infatti 4 passaggi: la creta, il gesso, la cera e il bronzo, ognuno dei quali contiene un certo numero di ulteriori passaggi intermedi fino ad arrivare al blocco di bronzo da 27 chili che una volta fuso raggiunge la temperatura di 1.400 gradi.
Non solo. Quando la scultura esce dall’ultimo guscio la sua superficie è piena di creste e pallini di bronzo che poi vanno levigate a scalpello per arrivare alla finitura liscia conclusiva.

La scultura di Medea di Monari la ritrae inginocchiata, con la testa appoggiata a terra. La posa riprende l’episodio mitologico del suo naufragio e approdo sulla spiaggia di Corinto. La posa, però, non è segno di resa ma di ringraziamento per avere avuto salva la vita. A evidenziare la volontà di rialzarsi c’è poi la posizione delle braccia, ben piantate per terra e che sembrano spingere verso l’alto.

Proprio la forza, ha spiegato Monari, è il messaggio che la scultura vuole veicolare. Unito all’idea di metamorfosi e rinascita verso qualcosa di altro come simboleggiano i capelli di Medea che richiamano alla forma del pesce, il simbolo universale della rinascita, almeno per il cristianesimo, come testimoniano le catacombe nate in un periodo di persecuzione e violenza.
L’opera faceva parte di una mostra proprio sul tema della rinascita organizzata a Ferrara al Parco Massari qualche anno fa.

Medea
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