Caporalato: al processo a Uber Italia 100 rider sono parte civile

Alla ripresa del processo per caporalato, a carico della filiale italiana di Uber Eats, si è deciso di ammettere un centinaio di rider come parte civile.

Già in fase di udienza preliminare, infatti, se ne erano presentati oltre 60 ai quali se ne sono poi aggiunti altri 35.
Secondo l’accusa, formulata al termine delle indagini condotte dal pm Paolo Storari, la società reclutava i rider assumendoli attraverso due società di intermediazione per poi impiegarli in condizioni di sfruttamento con una paga, a cottimo, di 3 euro all’ora. I rider erano spesso derubati delle mance e puniti con la decurtazione dei compensi se non si adattavano alle regole imposte.

Per questi presupposti, riconducibili al reato di caporalato, l’azienda era stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria fino a quando non aveva dimostrato un cambiamento nella gestione con l’introduzione, tra l’altro, di protocolli di sicurezza sanitaria per i rider e la promessa di regolarizzare i dipendenti tramite contratto.

Nel corso dell’udienza del dicembre2020 si era quindi deciso di mandare a processo una decina di persone per l’accusa di caporalato e altri reati di natura fiscale. Tra queste, Giuseppe Moltini, uno dei responsabili delle società coinvolte, ha ricevuto una condanna a 3 anni e 8 mesi dopo aver ottenuto il rito abbreviato; stesso procedimento a carico di Leonardo Moltini condannato a 3 anni e Danilo Donnini, condannato a 2 e per Miriam Gilardi condannata per il solo favoreggiamento a 1 anno e 6 mesi. Altre condanne erano state emesse solo per reati di natura fiscale.
Nell’inchiesta risulta coinvolta anche Gloria Bresciani, all’epoca dei fatti manager di Uber Italia, come persona informata del trattamento riservato ai rider.

In fase di indagine era stato disposto anche il sequestro di circa mezzo milione di euro in contanti trovato in possesso degli intermediari.
Questa cifra è stata convertita in un risarcimento di 10mila euro a testa a beneficio dei 44 rider distribuiti tra Milano, Torino e Firenze che si erano costituiti parte civile così come avevano fatto la Cgil, altra beneficiaria del risarcimento e la Camera del Lavoro.




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