Sentieri di Celluloide: La vita agra

Sentieri di Celluloide

Joe Denti – Narratore della storia del cinema

– Milano nel cinema –

La vita Agra

“Tu credi, europeo marcio, di amare il deserto, la natura, la campagna, ma poi dici: “Finalmente” quando ricompaiono i segni dell’odiata civiltà”. 

(Luciano Bianciardi)

“Questo torracchione è alto esattamente 112 metri. Metri quadrati abitabili 21.500. 675.000 tonnellate di acciaio e cemento, 21.000 metri quadrati di cristallo… Vi siete mai chiesti quanto tritolo ci vorrebbe per farlo saltare in aria.”

(Ugo Tognazzi)

“La vita agra è la nostra storia interiore, c’è una storia dei fatti, una storia che appartiene a ognuno di noi, una storia di questi ultimi anni che abbiamo vissuto, e i riflessi incidono dentro di noi, dentro la nostra psicologia, la storia di certe nostre delusioni, di certe nostre sconfitte, di certe nostre battaglie e di certe conclusioni che per fortuna sono ancora aperte.”

(Carlo Lizzani)

Nel 1964, Carlo Lizzani, porta sul grande schermo “La vita agra“, realizzando una storia caustica, amara, quasi violenta nel denunciare, in tempo reale, l’evoluzione sociale in pieno “Boom economico”, anticipando anche visivamente certe atmosfere da alienazione industriale in chiave grottesca. Il film, sceneggiato da Sergio Amidei e Luciano Vincenzoni, è tratto dall’omonimo romanzo di Luciano Bianciardi, scrittore e saggista, che contribuì significativamente al fermento culturale italiano nel dopoguerra, attraverso la sua opera narrativa, caratterizzata dal ponte di ribellione verso l’establishment culturale, a cui peraltro apparteneva, tanto che alla finzione narrativa si mescolano spesso brani saggisti che sfociano sovente nella sociologia.

Il romanzo, ampiamente autobiografico, si rifà a un vero tragico fatto di cronaca, l’incidente nella miniera di Ribolla, frazione del comune di Roccastrada, nella provincia di Grosseto in cui persero la vita 43 minatori. Aderente al testo letterario la pellicola è dominata dalla maestosa interpretazione di Ugo Tognazzi, come lo stesso Bianciardi ebbe a dire, capace di dar vita a un dramma sarcastico sull’imborghesimento e l’ipnosi di benessere e denaro che il miracolo economico portò agli italiani. Al fianco di Tognazzi, una intrigante e affascinante Giovanna Ralli, semplicemente meravigliosa da vedere, bellezza concreta nel disegnare una donna indomita che risulta migliore del compagno.

Luciano Bianchi (Ugo Tognazzi), intellettuale, lavora come responsabile delle attività culturali di una miniera in crisi, costretta a tagliare i costi. Proprio nel giorno in cui riceve la lettera di licenziamento la miniera esplode causando la morte di 43 operai. Lasciando moglie e figlio a Guastalla, piccolo comune della bassa padana, decide di vendicarsi recandosi a Milano, con l’intenzione di far saltare in aria il grattacielo dove la compagnia ha sede.  Arrivato nel capoluogo lombardo incontra Anna (Giovanna Ralli), giornalista di sinistra. I due fanno subito conoscenza e si piacciono e Bianchi, senza pensarci su troppo, decide di andare a vivere con lei, sicuro che la moglie non ne saprà mai niente. Intanto inizia a fare dei sopralluoghi presso il grattacielo della società, riuscendo a farsi assumere per un periodo di prova impegnato in un lavoro di poco conto, ma utile per approfondire il suo piano dinamitardo.

Licenziato subito dopo il periodo di prova, trova un nuovo lavoro, ben retribuito, come traduttore e Anna lo aiuta scrivendo a macchina sotto sua dettatura. In un weekend riceve una visita a sorpresa dalla moglie e pur con qualche impaccio riesce a evitare che lei scopra la sua relazione con Anna. Licenziato nuovamente prova ad entrare nel mondo della pubblicità come copywriter e grazie alla sua creatività fa ben presto carriera con un ottimo stipendio, permettendo di comprare una casa e ammodernarla di tutto punto.  Il successo definitivo avviene quando viene richiamato dalla sua vecchia ditta dove gli viene assegnato il ruolo di responsabile marketing è pubblicità. Venuto a Milano per vendicarsi, Bianchi finisce per diventare un importante manager, assorbito dai benefici del miracolo economico, dimenticando il suo obiettivo rivoluzionario e moglie e figlio lasciati in provincia.

Carlo Lizzani conosce bene i luoghi in cui ambienta il film, la Milano del “Pirellone”, appena costruito e dei nuovi quartieri satellite dove si radunanva l’elite industriale italiana, permettendo di dare al personaggio, interpretato da Ugo Tognazzi, un tono sornione che scambia la disillusione del romanzo con una sorta di satira, modificando il luogo di provenienza, da Grosseto come descritto nel testo letterario, in Guastalla, eliminando così la differenza dialettale non adatta all’attore cremonese. Fondamentale l’uso delle musiche composte da Piero Piccioni, con un giovane Enzo Jannacci che compare come cantastorie nello storico locale “Bar Jamaica“, in via Brera 32, ritrovo di intellettuali e artisti, in cui si esibisce nella prima versione della canzone “L’ombrello di mio fratello“. Cameo anche per lo scrittore Luciano Bianciardi, che compare al fianco di Ugo Tognazzi nella scena con gli operai milanesi sul rapporto uomo-macchina, girata in una fabbrica di Sesto San Giovanni. Il grattacielo che il protagonista vuole distruggere è la Torre Galfa, sita all’incrocio tra via Galvani e via Fara, all’epoca Centro Direzionale di una Milano, capitale finanziaria italiana. L’incontro tra Bianchi e Anna avviene in Piazza del Duomo, andando poi a vivere insieme in un appartamento nel condominio inquadrato come quartiere satellite, in via Wagner. Il grattacielo sul quale Bianchi, durante un incubo sogno di essere in bilico su un cornicione è la Torre Velasca. Il definitivo addio ad Anna avviene alla Stazione Centrale, dove la ragazza prende il treno diretto a Roma. La scena finale è dedicata al Pirellone illuminato in una notte milanese. Enzo Jannacci, qui al suo esordio cinematografico, tornerà a girare a Milano in: “Quando dico che ti amo“, diretto da Giorgio Bianchi, nel 1967.

Ma questa è un’altra storia…

“A ben Arrivederci”

Joe Denti

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