La migliore delle lombarde? L’Atalanta

C’è una nerazzurra in cima alla classifica di Serie A. Alla prima giornata di campionato, non è così strano che non sia una delle celebri “grandi” d’Italia, per affinità cromatica l’Inter, ma che il ruolo di capogruppo tocchi all’Atalanta. E’ calcio estivo, quello in cui si sogna, anche quando si sfocia già nel campionato e si appendono i discorsi sulla carta agli ombrelloni, in attesa che qualche squadra si squagli e che altre trovino nel finire dei caldi stagionali quel sole che illumina l’avvio del cammino. Nella prima schiera è rientrata la squadra di Spalletti, scioltasi davanti alla “bestia nera” Sassuolo, mentre il Milan non ha potuto trovar risposta dall’esordio in A complice il rinvio della gara con il Genoa. Per ogni giudizio sulla squadra di Gattuso bisognerà attendere sabato sera, quando il Napoli terrà a battesimo il Diavolo.

Per evitare di unirci alla schiera di De Profundis riguardo al magro spettacolo offerto dall’Inter al Mapei Stadium, è meglio concentrarsi su quei nerazzurri che oggi vanno decisamente meglio. L’Atalanta aveva un vantaggio, rispetto a ogni altra avversaria in Italia: complici i preliminari di Europa League, ha cominciato prima la stagione, ha rodato il motore con gare vere, calcio e calci reali, in cui se stecchi sei fuori dal palcoscenico. Ha superato i primi due ostacoli continentali e troverà giovedì il terzo, il Copenaghen, pasta non facilmente malleabile (ha esperienza europea e gioca un buon calcio) ma a cui gli uomini di Gasperini si avvicinano sapendo il fatto proprio.

Il timoniere troppo facilmente lasciato scendere dalla nave nerazzurra (dei milanesi) ha trovato ristoro ed elogi anni dopo la breve e incolore esperienza ad Appiano Gentile nella stessa Lombardia, ma in differente lido. Quella che affronta è la terza stagione a Bergamo, ma dopo poche giornate del suo primo campionato il “Gasp” sembrava vicino al capolinea, più che al lungo viaggio. La differenza è che a Zingonia hanno deciso di aspettare. Ovvio, i traguardi non sono i medesimi, e c’era più tempo per raddrizzare la rotta rispetto a quello che era l’obiettivo, ma ci sarebbe stato anche all’Inter non si fosse verificato uno strappo dopo la terza (dicasi terza) giornata di campionato. Chi scrive era presente a Novara, quel 20 settembre, mentre i piemontesi dominavano in lungo e in largo una squadra in disarmo, in tutto e per tutto distante dai principi gasperiniani, ancora pesantemente ingolfata dalle scorie del fresco addio di Eto’o. Onestamente, davanti a quello spettacolo, forse avremmo optato per l’esonero anche noi, ma il feeling mancante non era colpa dell’allenatore. Semplicemente non ci fu la scintilla, né la voglia di attendere che l’amore sbocciasse col passare dei mesi. E’ facile ricordare, al contrario, come nel 2016 l’Atalanta si presentò alla partita della svolta, settimo turno, battendo il Napoli per 1-0 con gol di Petagna: in zona retrocessione, con insistenti voci di un possibile esonero, sempre respinte dalla società.

La difesa del tecnico, l’evitare quei drammi che già oggi serpeggiano attorno alla formazione di Spalletti per 90′ certamente carenti, ma ancora assaggio misero di quel che saranno i conti di maggio, ha portato all’Atalanta fino alle due qualificazioni di fila in Europa che può vantare oggi. Quasi tre anni dopo, i bergamaschi suonano uno spartito riconoscibile e piacevole. Tutti corrono, tutti contrastano, tutti partecipano alle due fasi. Una piccola Olanda di Cruijff, nelle debite proporzioni del materiale umano a disposizione e degli obiettivi raggiunti. Gasperini ha passato l’estate a rimbrottare per qualche acquisto mancato, la realtà è che nel suo meccanismo tutti trovano il modo di fare da ingranaggio. C’è un direttore d’orchestra in campo, “Papu” Gomez, a trent’anni ancora senza una “big” in curriculum per quella che non può che finire tra i grandi casi di miopia generale tra i ds nostrani, pur considerando la fortuna e la casualità tra i mille risvolti che possono caratterizzare il calciomercato. Ma accanto a lui non sfigura alcun musicista, dai primi violini a chi nelle file in fondo ha il ruolo del comprimario, dai volti nuovi (forti interpreti come Zapata e Pasalic) ai giovani virgulti quali Barrow e alle affermate colonne Toloi, Masiello, Freuler. E pensare che quest’anno sono andati via Spinazzola, Caldara e Cristante, mentre un anno prima avevano fatto le valigie Gagliardini, Kessié e Conti. Segno di un ricambio che non porta a sostanziali cambi, almeno in negativo. Oggi, nel caldo del Nord Italia, se c’è un’immagine che rinfresca è quella della Dea allevata nella bergamasca.

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