Alik Cavaliere in mostra al Palazzo Reale

Milano celebra con una mostra antologica uno dei maggiori scultori italiani del secondo Novecento: Alik Cavaliere.

Elena Pontiggia, curatrice della mostra, a proposito dello scultore e del suo forte interesse per la natura, ha affermato: “Nessun artista, nella scultura del Novecento, ha scolpito il mondo della vegetazione e, per essere più precisi, l’universo verde delle foglie, dei frutti, dei cespugli, degli arbusti, degli alberi, come Alik Cavaliere.” Così afferma

La mostra si sofferma su un’altra tematica ricorrente nella poetica dell’artista: la gabbia, simbolo dei limiti e delle costrizioni che incombono sull’uomo. Questa condizione è ben rappresentata in E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce (1967) e approfondita nei numerosi lavori successivi dal titolo W la libertà in cui gli elementi naturali, imprigionati all’interno di rigide forme geometriche, tentano invano di evadere.
Come affermava lo scultore: “La gabbia era un senso di oppressione di qualche cosa a cui non riusciamo a sfuggire. Ho anche imprigionato ricordi, memorie, cose che si erano perdute. La natura fioriva all’esterno di questa gabbia”.

La mostra Alik Cavaliere. L’universo verde ha il suo cuore nella prestigiosa Sala delle Cariatidi a Palazzo Reale dove le opere in esposizione mettono in luce le diverse fasi e tematiche dell’artista, dalle monumentali Metamorfosi dei tardi anni Cinquanta all’innovativo personaggio Gustavo B. dei primi anni Sessanta, protagonista di un racconto composito sulle tante esperienze dell’uomo del tempo, accostato a Bimecus, una valigetta “fai da te” contenente elementi in bronzo e legno, un tempo componibili anche dall’osservatore per entrare in sintonia con l’autore.

Emergono capolavori di straordinaria suggestione come Quae moveant animum res. Omaggio a Magritte e il famoso Monumento alla mela (entrambi del 1963); in particolare in questi due lavori l’artista riprende da Magritte il tema della mela al quale associa il pensiero di Lucrezio secondo cui la mente umana genera immagini anche irreali e la natura è vista come un ciclo infinito di nascita e morte. Dello stesso periodo si osservano Tibi suavis dedala tellus submittit. La terra feconda di frutti e Il tempo muta la natura delle cose, esposte nel 1964 in una sala personale alla Biennale di Venezia.

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