“A visual protest. The art of Banksy”

MUDEC – Museo delle Culture di Milano – via Tortona 56 Fino al 14/4/2019

Orari: lunedì 14.30-19.30, martedì-domenica 9.30-19.30, giovedì e sabato fino alle 22.30

Biglietti: intero 14 euro, ridotto 12 euro

 

A wall is a very big weapon, recita un celebre slogan del dissacrante, misterioso e iconico street artist inglese Banksy, autore di murali nelle città di tutto il mondo con la tecnica dello stencil, che gli ha finora consentito di essere rapido ed evanescente come l’Uomo Ragno, facendosi beffe di polizia e telecamere, e riuscendo a mantenere tuttora nascosta la sua identità. Una “enorme arma” incruenta che dagli anni Duemila l’artista rivolge contro l’arroganza dell’establishment e del potere, contro il conformismo, la guerra e il consumismo, in una lotta fatta di colori e provocazioni esplicite, ironiche e mordaci, capaci di trasformare il tessuto urbanistico delle città occidentali in luogo di riflessione.

 

 

Contenere questa deflagrante seppur pacifica arma nelle sale di un museo non è impresa da poco ma il Comune di Milano, insieme a 24Ore Cultura (Gruppo Sole 24Ore) e ad altri numerosi sponsor, ha voluto raccogliere la sfida. E così si è aperta oggi al Mudec, per la prima volta in un’istituzione culturale pubblica, un’esposizione dedicata al mito contemporaneo dell’arte urbana illegale, per di più non autorizzata dal protagonista, che continua a difendere il proprio anonimato e la propria indipendenza. Gli elementi ci sono tutti per fare di “A visual protest. The art of Banksy”, aperta fino al 14 aprile 2019, una mostra-evento in grado di richiamare un pubblico vastissimo ed eterogeneo da tutta Italia.

La retrospettiva, curata dal critico d’arte Gianni Mercurio, propone circa 80 lavori tra dipinti, stampe numerate in edizione limitata, fotografie, oggetti, video e circa 60 copertine di vinili e cd musicali disegnati dall’artista, oltre a una cinquantina di memorabilia (litografie, adesivi, stampe, magazine, fanzine, volantini promozionali) provenienti da collezioni private e raggruppati in un percorso espositivo di tipo tradizionale che inevitabilmente comprime l’effetto dirompente ed esplosivo dei lavori di Banksy ma ha il pregio di raccontare per la prima volta in modo completo e ragionato la sua opera, il suo pensiero, la sua cifra stilistica.

Dopo aver varcato una soglia ideale di colore giallo che evoca il mondo industriale e metropolitano, la monografia introduce il visitatore nei movimenti e nelle avanguardie da cui prende forma il lavoro del più noto esponente dell’arte urbana: il Situazionismo degli anni Cinquanta e Sessanta, le contestazioni del Sessantotto, i graffiti della New York degli anni Settanta e Ottanta. Ispirandosi a queste forme di protesta visiva che mettono insieme parole e immagini, Banksy rielabora alcune modalità espressive come l’attitudine sperimentale, l’attenzione alle realtà urbane, la teoria della “psicogeografia” (secondo cui lo spazio d’azione dell’artista è il territorio), e soprattutto il détournement, un plagio sui generis in cui il significato dell’opera originale viene sovvertito per creare un nuovo spiazzante messaggio.

Il cuore centrale dell’allestimento è suddiviso per temi. Si comincia con la ribellione: se il potere esercita la propria egemonia culturale in televisione, cinema, pubblicità, chiese, scuole e musei, lo street artist mette in atto la sua contro-egemonia nella strada con una tecnica diretta, rapida e riproducibile ma inafferrabile come lo stencil, ulteriormente esplicitata da epigrammi sovversivi. Tra i protagonisti di questa sezione grande spazio è riservato ai ratti, esseri che “esistono senza permesso”, come dichiara Banksy. “Sono odiati, braccati e perseguitati, vivono nella disperazione e nella sporcizia, eppure sono in grado di mettere in ginocchio l’intera civiltà”. I topi, che via via sono raffigurati come borghesi, scassinatori, rapper, operai e sabotatori, sono la metafora dei graffitisti che si muovono nottetempo nelle fogne e nei luoghi di degrado per marchiare muri, cancelli, serrande e vagoni con i loro spray.

Si prosegue con il tema della guerra e delle logiche che la producono. L’irriverente protesta di Banksy prende di mira le religioni, l’industria bellica, lo sfruttamento del territorio con una satira corrosiva e pungente che non risparmia teste coronate e governanti, come la Regina Elisabetta ritratta sui francobolli con la maschera antigas per denunciare il coinvolgimento britannico nella seconda guerra del Golfo, o Winston Churchill ridicolizzato con una cresta punk fluorescente.

Si chiude con il tema del consumismo nel mercato dell’arte e nella vita quotidiana delle città occidentali, a cui sono dedicate le opere forse di più grande impatto perché ci riguardano da vicino. I lavori del writer suscitano una profonda riflessione sulle dinamiche sociali che rendono l’individuo sempre più incline all’acquisizione di beni materiali, generando un’aspettativa di felicità e soddisfazione che viene sempre disattesa, e che tuttavia crea dipendenza, come mostrano le figure disperate in ginocchio davanti al cartello che annuncia la fine dei saldi. L’invito a riflettere sulla società capitalistica viene anche da opere contro lo sfruttamento degli uomini e dell’ambiente da parte delle multinazionali dell’industria alimentare. Colpiscono il dipinto che raffigura una natura morta ottocentesca attaccata da nugoli di mosche tridimensionali, la ciambella gigante glassata al cioccolato scortata dalla polizia, la serigrafia che raffigura una prateria in cui gli indiani si difendono con le lance dall’attacco dei carrelli del supermercato.

La mostra si congeda dal visitatore con i modellini della barriera che separa la Cisgiordania dallo Stato di Israele, dove Banksy ha realizzato ben nove murali e aperto un albergo con camere vista muro (il Walled Off Hotel) per attirare l’attenzione sulla situazione in Palestina. Completano l’allestimento due sale multimediali da cui si fatica a uscire: nella prima è proiettato un documentario che racconta la storia creativa e professionale dell’artista attraverso la voce di Butterfly, pseudonimo attribuitole da un gruppo di graffitisti vicini a Banksy. È la donna che per prima si è interessata ai lavori del writer di Bristol e ha cominciato a filmare e fotografare il suo operato con l’obiettivo di preservare un’arte che spesso dura meno di 24 ore, tante ne impiegano le autorità per cancellare i graffiti, come ha fatto anche Tony Blair, che appare ripreso dai telegiornali britannici intento a sbiancare un murale insieme a una squadra di poliziotti londinesi. Nel documentario trovano posto le clamorose immagini dell’opera autodistrutta dopo essere stata battuta all’asta da Sotheby’s lo scorso ottobre per un milione di dollari, le incursioni (autorizzate e non) nei musei e il commovente cartone animato realizzato da Banksy nel 2015 per accendere i riflettori sul dramma della guerra in Siria, che ha reso celebre la figura della bambina con il palloncino rosso. Ai più piccoli, donne e uomini di domani ma soprattutto vittime innocenti delle storture del mondo contemporaneo, immolati sull’altare delle guerre, dello sfruttamento economico e della manipolazione culturale, sono dedicate moltissime opere dell’artista tese a indignare e turbare le coscienze.

Sulle pareti della seconda sala si alternano invece a tutta grandezza i murali realizzati sugli edifici di numerose città, molti dei quali non più visibili perché sbiaditi o cancellati, per offrire una suggestiva esperienza di tipo immersivo nella poetica dell’artista, riassunta in modo efficace ed esaustivo dal famoso street artist americano Shepard Fairey: “Le sue opere sono piene di immagini metaforiche che trascendono le barriere linguistiche. Le immagini sono divertenti e brillanti, eppure talmente semplici e accessibili: anche se i bambini di sei anni non hanno la minima idea di che cosa sia un conflitto culturale, non avranno alcun problema a riconoscere che c’è qualcosa che non quadra quando vedono Monna Lisa che impugna un lanciafiamme”.

Molte le iniziative legate all’esposizione come visite guidate e laboratori per scuole, adulti e famiglie, oltre alla pubblicazione del libro “La vera arte è non farsi beccare”, edito da 24Ore Cultura, che raccoglie quattro interviste rilasciate da Banksy. Dal 27 novembre inoltre la città sarà tappezzata di 200 manifesti a disposizione degli street artist che vorranno esprimere la propria creatività in una sorta di laboratorio destinato a diventare una mostra temporanea open air. La possibilità di realizzare murali autorizzati nelle strade frenetiche e brulicanti per lo shopping natalizio costituisce senza dubbio un’opportunità per molti giovani artisti ma è certamente quanto di più lontano c’è dallo stile e dalla poetica di Banksy. Il writer famoso per la sua critica all’establishment e al consumismo, potrebbe dedicare a questa iniziativa il suo prossimo dissacrante e clamoroso murale.

 

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